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L'odore del sangue

  di Mario Martone con Fanny Ardant, Michele Placido,      

  Sergio Tramonti, Giovanna Giuliani

 

 

Il film è liberamente tratto dal romanzo di  Goffredo Parise: L’odore del sangue, pubblicato postumo.
I due protagonisti,Carlo e Silvia, interpretati da Michele Placido e Fanny Ardant, sono sposati da oltre vent'anni.Un rapporto che resiste  grazie a un compromesso sull'infedeltà: "amare senza esclusive" che consente a  Carlo di vivere in campagna con la sua  giovane amante,(Giovanna Giuliani), mentre Silvia abita nella loro casa romana, ai Parioli, dove Carlo di tanto in tanto va a trovarla . Il loro rapporto è improntato a una  forte intesa e un profondo affetto, fino a quando nella vita di Silvia capita un giovane. I due diventano amanti.  L'intrusione va a rompere l'equilibrio precario della coppia. Il giovane amante,con il culto delle arti marziali e della perfezione del corpo, fa riscoprire a Silvia il piacere del  sesso e della passione, e l'istinto a seguire “l’odore del sangue” la conduce a un'irrefrenabile discesa agli inferi.

In Carlo nasce un'ossessione: sapere tutto.  Ed è nei dialoghi tra Carlo e Silvia, nelle domande morbose e nelle risposte esplicite,che ritroviamo nuda e cruda la scrittura di Parisi.

 

 

 

 

 

Cast

Sergio: Sergio Tramonti

Silvia: Fanny Ardant

Lù: Giovanna Giuliani

Carlo: Michele Placido


Regia: Mario Martone
Sceneggiatura: Mario Martone
Fotografia: Jacopo Quadri
Montaggio: Cesare Accetta

 

Valerio Caprara da Il Mattino

Per convincerci dell'importanza de «L'odore del sangue», il romanzo semiautobiografico e semiporno che Goffredo Parise non volle pubblicare in vita, Garboli e Magrini spendono 34 pagine di spericolati distinguo e sofisticate filologie delle prefazioni all'edizione Rizzoli. Mario Martone ci mette, invece, 100 minuti di un film che finisce con l'apparire quello che è: una lettura che affronta la missione impossibile di trasferire le ossessioni tra il viscerale e il mentale dello scrittore nel linguaggio spietatamente referenziale del cinema. L'abisso dell'indicibile, come direbbero i dotti, diventa dunque una torbida storia di sesso senile esplicitata dalle atmosfere, dai dialoghi, dalle recitazioni, in una parola dallo stile. Ed è qui, ahimé, che casca l'asino perché quello del regista napoletano nell'occasione dormicchia, indeciso tra l'attrazione e la repulsione per la materia trattata, tra il particolare e l'universale, tra l'abbandono «estremo» e il vago sfondo anni Settanta di una Roma notturna infestata da torme di puttane e di barboni rannicchiati per strada. Senza dilungarsi troppo sul cosiddetto effetto Rossini (che davanti alle opere dei colleghi asseriva di esser sempre pronto a «levarsi il cappello» per salutare gli autori riconosciuti), si può anche aggiungere che il Moravia dei «Racconti romani», il Pasolini di «Teorema» e l'Antonioni delle fatidiche passeggiate dei protagonisti accarezzati in campo lungo dal vento dell'incomunicabilità non assicurano la congruenza di questo gioco al massacro all'interno del classico triangolo borghese.


Dunque lo scrittore Carlo, interpretato da un Michele Placido che sembra il solo a rispondere presente alle intenzioni del regista, si divide tra l'algida ed elegante moglie Silvia (Fanny Ardant) e l'amante Lu' (Giovanna Giuliani), giovinetta campagnola e selvatica peraltro habitué di decadenti e tenebrosi locali hardcore. Un brutto giorno scopre che la consorte lo tradisce con un ragazzo che è il suo esatto contrario: uno scapestrato partorito dal generone locale che aderisce alla destra rautiana e fonda sul culto della forza e della virilità il proprio fascino sguaiato. La matura coppia aperta scoppia e il protagonista (oberato per il buon peso dalle immagini ben più oscene delle guerre raccontate come inviato) forza la fedifraga a raccontargli passo passo le pratiche erotiche con cui insegue il perduto vitalismo di gioventù.
La discesa agli inferi si materializza con il continuo rimpallo tra le frasi «alte» e i flash di una sessualità «bassa», che proprio per questo dovrebbe risultare più sinistra, oscura e attraente. Purtroppo le volenterose attrici non risultano adeguatamente protette dall'esorbitante carico simbolico: l'Ardant che discetta di fellatio con un sorrisetto perennemente stampato sull'accento Faubourg Saint-Honoré e la Giuliani che prorompe in imbarazzanti tirate sulla gelosia rendono di fatto il sesso la parte più noiosa e neutra del dramma, con l'acme raggiunta nel cruciale dialogo («il reale è razionale!») imbastito con la capuzzella fuori dal finestrino di un treno in partenza.
Proprio il mancato straniamento delle battute che metaforizzano le segrete complicità di ogni coppia è l'handicap della trasposizione: «L'odore del sangue» è un romanzo che si raccoglie (più o meno compiutamente) nella fissità di una visione personale e in qualche modo inesplicabile, mentre il film è costretto a scioglierla in una serie di situazioni oggettive che s'esauriscono in un finale thrilling a quel punto abnorme e ingiustificato. Intendiamoci, il coraggio del tentativo è fuori discussione e in questa sede ci limitiamo a sperare che le qualità che fanno di Martone un protagonista a tutto campo della scena culturale non siano usate come una clava da abbattere sulla testa del «nemico» di turno. In fondo, parafrasando Gertrude Stein, il cinema è il cinema è il cinema è il cinema.